Va ricordato che, secondo l'art. 13 cpv. 1 della Direttiva, gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell'informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile della memorizzazione automatica, intermedia e temporanea di tali informazioni effettuata al solo scopo di rendere più efficace il successivo inoltre ad altri destinatari a loro richiesta, a condizione che egli agisca prontamente per rimuovere le informazioni che ha memorizzato, o per disabilitare l'accesso, non appena venga effettivamente a conoscenza del fatto che le informazioni sono state rimosse dal luogo dove si trovavano inizialmente sulla rete o che l'accesso alle informazioni è stato disabilitato oppure che un organo giurisdizionale o un'autorità amministrativa ne ha disposto la rimozione o la disabilitazione dell'accesso.
Il Tribunale parte dal presupposto come “la conoscenza effettiva della pretesa illiceità dei contenuti del sito de quo non possa essere desunta neppure dal contenuto delle diffide di parte, trattandosi di prospettazioni unilaterali”. Onde valutare se un prestatore di servizi abbia “effettiva conoscenza” dell'illiceità dei contenuti memorizzati, s'impone dunque che un “organo competente abbia dichiarato che i dati sono illeciti, oppure abbia ordinato la rimozione o la disabilitazione dell’accesso agli stessi, ovvero che sia stata dichiarata l’esistenza di un danno, e che l’ISP stesso sia a conoscenza di una tale decisione dell’autorità competente”.
Pertanto, secondo il Tribunale, nel caso dei motori di ricerca, la “conoscenza effettiva” della illiceità dei contenuti, con l'obbligo di rimozione che ne deriva, sussiste soltanto in presenza di un ordine di un’autorità giudiziaria che dichiari l’illiceità di tali contenuti e ne disponga la rimozione. Un provider di servizi caching ai sensi della Direttiva sull'e-commerce (quale è Goggle secondo il Tribunale) può dunque legittimamente esigere dalla parte che richiede la cancellazione di un contenuto asseritamente illecito la produzione di un ordine giudiziario o amministrativo di rimozione.
L'ordinanza del Tribunale di Firenze fa seguito ad una Sentenza del Tribunale di Roma (IX Sezione) del 20 ottobre 2011, in cui si afferma l'esigenza che gli aventi diritto elenchino / comunichino in maniera specifica e dettagliata i contenuti da rimuovere (comprese le relative pagine web). Ne consegue che una richiesta generica di rimozione non può fondare la responsabilità dell'ISP in caso di mancato intervento.